— Agata Tempesta

Quello che ho imparato andando in bici a Milano

1. Se canti mentre pedali la gente ti guarda come se fossi matta.
C’è una (disarmante) forma di disabitudine all’allegria, soprattutto se illogica.

2. Andare in ufficio in bici mette di buoumore.
Forse perché, come sanno bene i cani, il vento sulla faccia è piuttosto divertente.

3. Piove spesso.
E tu sei sempre troppo ottimista o troppo pigro o troppo distratto per affidarti alle previsioni meteo.

4. Il sindaco ha un’idea tutta sua di cosa sia una pista ciclabile.
Pensa che sia uno spazio di 50 cm tra il marciapiede e il pavè (o sul pavè!): una striscia rossa con una freccia e una bici stilizzata disegnate per terra, che spesso corre tra il parcheggio del bikesharing e quello degli autobus, e di solito finisce a fondo cieco direttamente sulle rotaie del tram.

5. Le bici in strada sono invisibili.
Non esistono per i pedoni, che le ignorano (probabilmente convinti che se a investirli è una bici, non si fa male nessuno). Non esistono per le auto, gli autobus e i tram, che le maltrattano e (a volte) le investono.

6. Devi avere almeno due bloster. Di quelli buoni.
E ragionare (bene) su cosa stai legando (a cosa) e come. Col tempo impari a riconoscere a occhio il posto migliore dove parcheggiare la tua bici. Ogni tanto qualche stordito lega la sua alla tua e tu devi aspettare che arrivi a slegartela, con la scatola della pizza calda in mano e il formaggio fuso che cola sgocciolando dai lati. Ogni tanto qualche idiota ti taglia la camera d’aria della ruota di dietro (e tu gli auguri che l’orchite lo accolga con la stessa allegria con cui ti sei accorta di aver “bucato”).

7. Se una donna pedala più veloce di un uomo (per giunta su una bici senza canna né cambi) lui se le prende a male.
La competizione deve avere una componente genetica. Non importa che tu non sia né il Grande Pozzi, né il famoso Girardoux, come poggi il culo sulla sella e le ruote sull’asfalto, scatta la competizione e tu ti senti (tuo malgrado) come se stessi gareggiando lungo il «diagonalone, seimilatrecento chilometri d’autostrada da Lisbona a Leningrado!».

8. I parchi cittadini, a una certa ora, chiudono.
E ti può capitare di rimanerci chiusa dentro.

9. Le strade sono piene di vetri rotti.
Per lo più verdi.

10. C’è vita nei tuoi muscoli.
Non solo nelle cosce o nei polpacci. Avambracci, spalle e collo ti malediranno bonari per le borse a tracolla, gli zaini pieni di cose, i sacchetti della spesa appesi di lato, le pedalate controvento, la testa bagnata che tanto te l’asciughi mentre pedali e le due volte al giorno in cui ti carichi la bici in spalla per portarla su è giù quando esci e quando rientri.

11. I clacson mentre pedali sembrano trombe da stadio suonate dritte in quella di Eustachio.
Inutili e roboanti diavoli al culo.

12. Una portiera aperta a caso è pericolosa quanto un colpo di pistola.
Può succedere di morire così. Ammazzato mentre pedali stando sulla tua destra, come recita il codice della strada.

13. Certe città appartengono alle persone solo di notte.
Quando non c’è traffico, né rumore. Le strade sono vuote di fretta e malumore. Le luci basse. E ogni viaggio è un’esplorazione. Un corsa libera e felice.

14. Chi va in bici in città è un temerario sentimentale.
And that’s it.